Indagini congiunturali


TFR, UNA RIFORMA CHE NON ENTUSIASMA

La nuova previdenza integrativa non ha grande appeal presso le pmi dell’Emilia Romagna. Un sondaggio della CNA ne evidenzia dubbi e timori. Tra le cause: la scarsa fiducia verso il sistema politico e l’efficacia del provvedimento, la preoccupazione per gli effetti della riduzione di liquidità e le difficoltà di ricorso al credito agevolato per compensare. Allari: “lo slittamento del provvedimento conferma la necessità di dare garanzie alle imprese”

11-10-2005

Non c’è un grande feeling tra imprese e  previdenza integrativa; e la riforma non decolla nell’indice di gradimento. Il provvedimento di riforma non convince del tutto artigiani e piccoli imprenditori, che in proposito, esprimono dubbi e incertezze rispetto al nuovo che attende  le loro aziende  ed i loro dipendenti.
Questo è quanto emerge dal sondaggio attraverso il quale la CNA dell’Emilia Romagna ha rilevato opinioni e giudizi di 232 imprese con dipendenti  associate sulla così detta pensione di riserva ed i cui risultati sono stati presentati questa mattina alla stampa, all’indomani del rinvio alle Camere del decreto legislativo da parte del Consiglio dei Ministri. 

Imprenditori mediamente informati, ma poco convinti
La messa a punto di nuove forme di previdenza, non appassiona più di tanto artigiani e piccoli e medi imprenditori dell’Emilia Romagna, i quali non la ritengono una  priorità rispetto ad altri problemi. Il provvedimento, che nelle intenzioni dovrebbe consentire di recuperare la perdita di valore delle attuali pensioni, non convince appieno, sia perché non tutti i suoi  contenuti  risultano ancora completamente chiari, sia perché permane più di un’incertezza sui reali  vantaggi che dal nuovo sistema, deriverebbero per imprese e lavoratori.  Questo scarso appeal della riforma,  può derivare in parte, da un livello d’informazione buono (il 50% degli intervistati si dichiara a conoscenza della riforma), ma non eccessivamente dettagliato su ogni singola  parte del provvedimento e dei suoi effetti, la cui messa a punto risulta macchinosa e non del tutto compiuta e questo fa sì che vi siano seri dubbi sulla sua  effettiva efficacia; informazione e consapevolezza  aumentano percentualmente  tra le imprese più strutturate  (15-20 dipendenti). Il non eccessivo interesse espresso dagli imprenditori, sembra essere conseguente anche ad un certa sfiducia nel sistema politico. 
Il lungo confronto tra parti e sociali e Governo - ha commentato il Segretario regionale della CNA, Giorgio Allari -
la difficoltà nel trovare un accordo con l’ABI, l’associazione delle banche italiane per individuare meccanismi di compensazione che siano praticabili per tutte le tipologie di imprese, soprattutto per quelle piccole e medie, per non parlare della rottura con l’ANIA, l’associazione delle assicurazioni, da sempre contraria al fatto che il contributo del datore di lavoro al TFR non possa essere trasferito ai fondi aperti, quelli cioè gestiti da assicurazioni e banche, non hanno certo contribuito a rasserenare le imprese, a rimuovere i loro dubbi; anzi, quanto accaduto nel corso del Consiglio dei Ministri di ieri, che ha in pratica stoppato la riforma proprio sulla destinazione del contributo da parte del datore di lavoro per i lavoratori che investono il TFR nei fondi e sulla moratoria per le piccole imprese che non hanno possibilità di accesso al credito, rischia di confermare le riserve di quegli imprenditori che anche nel nostro sondaggio, hanno espresso il timore che questa riforma possa servire a “far cassa” a qualcuno e non sia, invece, finalizzata ad indirizzare i fondi di previdenza complementare agli investimenti per garantire cioè il mantenimento del trattamento di fine rapporto e costruire meccanismi incentivanti per sostenere la competitività delle imprese. Le aziende, giustamente, intendono conferire risorse alla previdenza complementare solo se non subiranno aggravi di costi e saranno certe che la riforma persegue i due obiettivi che ho richiamato.

Le imprese chiedono certezze e garanzie sulla propria liquidità
Perplessità e timori, dunque soprattutto per quanto riguarda le misure che dovrebbero compensare in futuro la mancata disponibilità di quanto verrà maturato dai dipendenti in termine di trattamento di fine lavoro. Perplessità innanzi tutto sul così detto silenzio/assenso, vale a dire  sul fatto che il finanziamento delle pensioni complementari sia attuato attraverso la contribuzione a carico dei lavoratori mediante il trasferimento del TFR maturando, anche attraverso modalità tacite. In pratica la destinazione automatica del TFR in favore dei fondi comuni negoziali, in caso della mancata indicazione da parte del dipendente (si dichiara d’accordo 1 azienda su 3).  I timori riguardano, invece, le conseguenze che la scelta dei dipendenti potrebbe avere sulla liquidità delle imprese. Il 60% degli intervistati dichiara che lo smobilizzo del trattamento di fine rapporto potrebbe incidere pesantemente; già a partire dalle aziende con più di 5 dipendenti, la percezione dell’onere finanziario che potrebbe gravare sull’azienda comincia ad accentuarsi decisamente: la percentuale sale al 70% tra le imprese da 11 a 20 dipendenti ed all’85% dai 21 ai 50, fino a raggiungere pressoché il 100% dai 51 ai 100 ed oltre. Non va dimenticato che le imprese oggi, utilizzano le risorse del TFR per autofinanziare parte della propria attività. Da qui i timori degli imprenditori intervistati, di dover improvvisamente far fronte ad una consistente mancanza di liquidità, ricorrendo al mercato finanziario senza meccanismi di agevolazione.

Diminuiscono le risorse, aumentano i timori per il ricorso al credito
Tra le conseguenze negative che il trasferimento del TFR nei fondi comuni comporterà per le aziende, la perdita di liquidità viene indicata da 1 azienda su 2. I timori degli imprenditori sono molto forti anche su come far fronte alla ridotta disponibilità di risorse, tanto che quasi il 30% si dichiara preoccupato di  dover ricorrere a prestiti bancari. Grande anche la preoccupazione di dover ridurre gli investimenti e di potersi indebitare. Tra le imprese di ridotte dimensioni, con un solo dipendente o da 1 a 5 dipendenti, tali preoccupazioni sono ovviamente nulle o ridotte (il 57% nel primo caso ed il 28,4% nel secondo ritiene infatti che dato il numero di dipendenti non vi siano particolari conseguenze). La previsione del ricorso al credito bancario si accentua con l’aumentare del numero dei dipendenti (indicato come fattore negativo dal 75% delle aziende da 51 a 100 dipendenti), mentre fra le imprese di media dimensione predomina il problema della liquidità (lo indica il 50% di quelle da 6 a 10 dipendenti ed il 54,5% di quelle da 11 a 20 dipendenti).

Per i lavoratori scelta incerta, ancora poco chiari vantaggi e convenienza
Neppure i dipendenti sembrano particolarmente attratti dal sistema che regolerà in futuro la loro pensione. Nella percezione degli imprenditori intervistati, i loro dipendenti fanno fatica ad orientarsi e non hanno ancora un’effettiva consapevolezza della scelta che dovranno effettuare. Gli imprenditori intervistati  dimostrano un certo scetticismo circa il gradimento dei fondi pensione da parte dei propri dipendenti; solo un intervistato su 5 ritiene che una quota significativa del TFR verrà destinata ai fondi (anche se quasi il 40% degli imprenditori non si ritiene in grado di esprimersi sulle scelte dei propri dipendenti). La percentuale dei possibilisti, coloro cioè che ritengono che  una quota rilevante del TFR potrebbe spostarsi sui fondi, tende ad aumentare con la dimensione aziendale, specialmente quando questa supera i 20 dipendenti. Nella percezione della scelta che potranno compiere i propri dipendenti da parte degli imprenditori delle aziende più piccole pesa, verosimilmente, il rapporto di fiducia consolidato nel tempo e di tipo personale in essere col datore di lavoro; una fidelizzazione che indurrebbe i lavoratori a non sottrarre all’azienda risorse economiche, tanto più in una situazione in cui risulta ancora tutto da verificare l’effettivo vantaggio del rendimento dei fondi pensione rispetto a quello dell’ attuale TFR.


Se viene meno la risorsa TFR, le imprese vanno compensate
Aumento delle detrazioni fiscali, riduzione degli oneri sociali, precisi automatismi per l’accesso al credito bancario in modo certo e rapido. Gli intervistati chiedono garanzie precise al nuovo  sistema previdenziale ed approvano senza riserve l’iniziativa delle parti sociali che su questi temi hanno chiesto al Governo di ridurre tassazione ed oneri impropri e garantire una continuità agli investimenti che un accesso oneroso al credito potrebbe diminuire o bloccare. Per superare ostacoli e non penalizzare le aziende nel rapporto con le banche, gli imprenditori intervistati si dichiarano pienamente d’accordo con la proposta della CNA, di riconoscere un ruolo attivo al sistema dei Confidi.  Cooperative di garanzia, Consorzi Fidi e Artigiancassa potrebbero garantire gli istituti di credito e agevolare la concessione dei finanziamenti, dicono gli imprenditori, visto che si tratta di strutture che operano da anni con efficienza e trasparenza.